Un curioso bar dei primi '900 al numero 36, così caratteristico da meritare una cartolina e il ricordo di Primo Levi. Il rinnovo urbano degli anni '30 spazza via interi isolati e delle decorazioni e dei biscotti che vendeva non rimane che questa immagine. «Il mio nonno materno aveva un negozio di stoffe nella vecchia via Roma, prima dello sventramento spietato degli anni ’30. [...] a poche porte accanto c’era un altro antro parallelo, un caffè-bar che era stato camuffato da grotta, con grosse stalattiti di cemento brunastro in cui erano incastrati specchietti multicolori; sul fondo, al banco di mescita erano stati applicati tanti listelli verticali di specchio. Questi, non so se per caso o deliberatamente, non erano ben complanari, bensì leggermente angolati fra loro: così, chi passava davanti alla soglia vedeva le proprie gambe moltiplicate dal gioco degli specchi, sembrava di averne cinque o sei invece di due, e questo era così divertente che i bambini dell’epoca, cioè noi, si facevano portare in via Roma apposta». Da “Il fondaco del nonno”, L’altrui mestiere, in Primo Levi, Opere complete, a cura di Marco Belpoliti, Einaudi, Torino 2016-2018, vol. II, p. 972.
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