Giorgio Caproni, poeta livornese che tanto ha amato Genova, era affascinato dall'ascensore di Castelletto. Tra il 1948 e il 1949 Caproni scrisse una poesia intitolata proprio "L'ascensore". Tra i versi della poesia, si legge "Quanto mi sarò deciso d'andarci, in paradiso ci andrò con l'ascensore di Castelletto, nelle ore notturne, rubando un poco di tempo al mio riposo".
Ecco la composizione integrale:
L'ascensore
Quando andrò in paradiso non voglio che una campana lunga sappia di tegola all’alba – d’acqua piovana.
Quando mi sarò deciso d’andarci, in paradiso ci andrò con l’ascensore di Castelletto, nelle ore notturne, rubando un poco di tempo al mio riposo.
Ci andrò rubando (forse di bocca) dei pezzettini di pane ai miei due bambini. Ma là sentirò alitare la luce nera del mare fra le mie ciglia, e… forse (forse) sul belvedere dove si sta in vestaglia, chissà che fra la ragazzaglia aizzata (fra le leggiadre giovani in libera uscita con cipria e odor di vita viva) non riconosca sotto un fanale mia madre.
Con lei mi metterò a guardare le candide luci sul mare. Staremo alla ringhiera di ferro – saremo soli e fidanzati, come mai in tanti anni siam stati. E quando le si farà a puntini, al brivido della ringhiera, la pelle lungo le braccia, allora con la sua diaccia spalla se n’andrà lontana: la voce le si farà di cera nel buio che la assottiglia, dicendo “Giorgio, oh mio Giorgio caro: tu hai una
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