Seduto nel dehors di un locale storico, guardavo il mio piatto con l'arancino (rito ineludibile) e ascoltavo distratto la gente attorno a me. Quello che mi ha sempre colpito è stata la musicalità della lingua siciliana, antica e contemporanea al tempo stesso, con un ritmo ignoto in altre regioni d'Italia. Pensavo che i cantastorie non potessero che essere nati in questa terra: la lingua dispone della mente e questa ha inventato l'arte di raccontar cantando. Con in testa questo pensiero iniziai a seguire il flusso della folla: in realtà stavo inseguendo un qualcosa che sentivo ma che non riuscivo a mettere a fuoco: come una vibrazione, calda, strana ma piacevole. L'istinto mi diceva di andare avanti. Arrivai in uno slargo, identico a uno disegnato da Juvarra nella mia Torino. Sghembo al Nord, perfetto in questo contesto. In un angolo due musicanti suonavano e cantavano uno stano mix. Dolente ma non troppo, con parole e musica che arrivavano da lontano, filtrate da lenti colte e raffinate: parlavano di «morte per acqua» e potevi ritrovarvi tracce di De Andrè, Greenaway, Eliot e Lee Masters. Una contaminazione di generi fatta con grande sapienza. Cullavo la mia mente al ritmo della musica e pensavo, pensavo... (andrea terranova, agosto 2020)