Di Luca Barello, Andrea Luzi
«Era nell’aria la storia di piazza Crimea. Mio padre era andato a vedere un terreno molto bello nella precollina torinese. Il loro primo progetto era wrightiano e quando l’abbiamo visto abbiamo tutti detto: “Questo è quello che dovremmo fare!” Mi ricordo che mio padre tornò dopo aver visto il progetto e disse: “A son matt, costi sì a son matt”. E così abbiamo fatto le nuove case. Crimea era allora un fatto rivoluzionario, oggi è stata digerita e capita. Le persone meno istruite, i muratori, avevano grande sensibilità verso questo tipo di architettura, mentre le critiche più feroci sono venute da architetti e da impresari: o non capivano quello che si voleva dire, oppure erano gelosi. […] Abbiamo costruito la casa in piazza Crimea per cercare di dare una svolta, era un po’ provocazione, volevamo far parlare e mettere in moto le fantasie dei costruttori, uscire dai soliti clichè. Era anche una sorta di pubblicità, un modo per dire che c’eravamo e facevamo le cose per bene.» [BR, p.18]